SU TITO SCHIPA JR. HANNO SCRITTO FRA L'ALTRO:
SULLA
SUA REGIA DELL'ELISIR D'AMORE
PER LA 43° STAGIONE LIRICA DI LECCE (Febbraio 2012)
L'OPERA (Nicola Sbisà)
La regia di Tito Schipa Jr. è apparsa improntata ad un taglio tradizionale, contraddistinto da un'efficace fluidità di movimento, che si inquadrava in un efficace allestimento di impronta multimediale, quasi un fumetto, ma di gusto. Belli i costumi di Adriana Ruvolo.
CORRIERE DELLA SERA/CORRIERE DEL MEZZOGIORNO (Francesco Mazzotta)
"BUON GUSTO E MISURA"
Il merito di questa produzione è di rivelarsi per il suo garbo. Tito Schipa Jr. propone, con una direzione molto più onesta di altre che in giro vengono sbandierate come avvenimenti di prestigio, uno spettacolo tradizionale e classico, arricchito da un grande display che a volte indica i passi dell'opera, altre la spiegazione delle scene. Sullo sfondo, incorniciato da un quadro con nuvole e uccelli in movimento, è rappresentato un ambiente agreste salentino di fine Settecento.
IL QUOTIDIANO (Eraldo Martucci)
"UN ELISIR CHE NON TEME CONFRONTI"
La regia di Tito Schipa Jr. era di una fluidità drammaturgica esemplare, sviluppando in maniera scenicamente convincente l'allestimento multimediale (un fumetto dal notevole gusto estetico che ritrae la campagna salentina settecentesca).
TG3 PUGLIA (Marcello Favale)
A Tito Schipa junior è stata affidata la regia di questa opera portata avanti con mano sicura nella tradizione di un lavoro che ha rappresentato il trionfo dei giovani. (...) Contenti gli spettatori, nonostante tre quarti d'ora di blackout, segnale incontrovertibile di una rappresentazione riuscita...
IL TACCO D'ITALIA (Fernando Greco)
Nelle intenzioni di Tito Schipa Jr, figlio del tenore nonché regista di questa produzione, doveva trattarsi di una messa in scena didascalica e fedele al libretto, che consentisse anche alle persone meno avvezze al teatro musicale di comprendere e di apprezzare il capolavoro donizettiano. Di fatto così è stato, ma con una buona dose di freschezza e di originalità, complice il gradevole apparato scenografico e i coloratissimi costumi di impronta settecentesca (questi ultimi disegnati da Adriana Ruvolo). Se Donizetti pensava ai Paesi Baschi o forse al suo paesaggio lombardo, Tito Schipa Jr ha pensato alla campagna salentina: un grande schermo sullo sfondo mostra un campo in cui si muovono le sagome dei mietitori, da lontano si intravede una "pagghiara" e nel cielo danzano le nuvole e il disco solare, mentre Dulcamara viaggia in una mongolfiera visibile sia sullo schermo sia sul palcoscenico. Ai due lati del palcoscenico, la parte visiva si completava con le abitazioni della fattoria di Adina imbiancate a calce e uno stilizzato albero di ulivo. Un allestimento in cui comicità e lirismo viaggiavano insieme in maniera consona alla partitura e senza mai trascendere nel farsesco. A proposito di sovratitoli e didascalie, bisogna riconoscerne l'utilità soprattutto per il pubblico più giovane, sebbene il libretto di "Elisir" sia più facile di quello della precedente "Gioconda", ma perché farli sparire per alcune parti dell'opera? O si mettono o non si mettono.
IL PAESE NUOVO (Silvia Famularo)
"TUTTI BRAVI"
La regia di Tito Schipa Jr. si è rivelata molto efficace perché ha riproposto il melodramma in maniera tradizionale, leggera e delicata come il compositore l'aveva pensata.
ContrappuntiWeb (Antonio Farì)
"LA STAGIONE LIRICA A LECCE HA VALORIZZATO I VINCITORI DEL CONCORSO
L’ELISIR RIVIVE NELLA TERRA DI SCHIPA
OMAGGIO AL SALENTO DEL GRANDE TENORE NELLA REGIA DI TITO JR"
Piacevole messinscena. Sulla luminosa spazialità agreste si sono inseriti gli «straordinari» effetti che hanno accompagnato l’incarnazione illusionistica di Dulcamara: il baldacchino da imbonitore, un po’ orientale e un po’ circense, per la vendita dello «specifico» (nel primo atto), e la mongolfiera sulla quale il «dottore» ha spiccato il volo, nel finale. Entrambi gli effetti calati dall’alto, novelli e totemici «dei ex machina», efficaci metafore dell’illusionismo esponenziale e dal vago retrogusto barocco. Il tutto però con un consapevole sapore di sperimentale divertimento, di scoperto e artigianale gioco, anche in ragione del fatto che la regia di Tito Schipa junior si è mossa con discrezione, affidando i solisti alla regia naturale dettata dalla vocalità, conferendo personalità scenica al coro, non cercando preziosismi da orologeria d’azione, e affidandosi al simbolismo lieve dei due mimi ballerini (una sorta di sorriso in scena) o al colore di trovate quali il drappello di soldati trasformato in «Cacciatori albanesi» e il disinvolto amoreggiare con loro delle contadinotte. La percezione di freschezza un po’ aurorale dello spettacolo è stata accentuata dal cast dei protagonisti. Nota di merito per i costumi di Adriana Ruvolo.
Non sappiamo quali saranno i destini della lirica, in generale e nel nostro particolare, ma questo è stato un buon segnale.
SULLA
SUA REGIA DELL'ELISIR D'AMORE
in versione "ultraleggera" andata in scena al Teatro dei Satiri di Roma (Gennaio 2012)
GLI ALTRI (Katia Ippaso)
"IL TEATRO DELL'OPERA CON BIGLIETTO DEMOCRATICO"
Il teatro lirico in versione "light", senza scene, senza costumi d'epoca, senza promozione hollywoodiana, senza fotografie di divi ma con ottimi interpreti sensibili al discorso della democratizzazione dell'opera. Un melodramma accessibile anche agli studenti, che possono dichiarare di amarlo senza doversene immediatamente vergognare per questioni di classe, qualunque essa sia. Una buona notizia per chi è costretto a scegliere tra un biglietto al teatro dell'opera o pagare la bolletta del telefono. In tempo di crisi anche la musica diventa "bene comune" e si adatta a qualunque spazio: teatro, carcere, ospedale, scuola, fabbrica.
L'idea è di Tito Schipa Jr., che ha ideato e realizzato un progetto pilota partendo dall'Elisir d'Amore di Gaetano Donizetti e concependolo come un omaggio al padre, il grande tenore, che nel finale viene addirittura coinvolto assieme agli interpreti viventi (sulla base di una registrazione del passato) . Nella versione "ultraleggera" che abbiamo visto al Teatro dei Satiri di Roma il musicista/regista dirige gli interpreti dalla consolle mentre contemporaneamente fa partire le immagini della "graphic novel" realizzata dal pittore Luigi Stefano Cannelli sul tema dell'Elisir. Prima ancora che entrino in scena i cantanti, le immagini si sono assiepate nella mente dello spettatore, dando un contorno eccitato, di una follia benigna, tenera, al personaggio di Nemorino, e una soluzione androgina, nervosa, all'invenzione di Adina. Gli interpreti riescono ad essere simmetrici rispetto ai quadri dipinti, agendo la scena in una forma concertistica, senza troppi infingimenti. Forse i melomani più conservatori non si adegueranno facilmente alla trovata, perché dovranno rinunciare al gigantismo scenico di certi allestimenti, spesso vuoti di senso. Ma se ne avvantaggia la narrazione teatrale, che si presta evidentemente a raccontare anche l'Italia contemporanea, nella sua altalena tra immaginazione creativa e illusionismo da imbonitore di piazza.
IL TEATRO DELLA MEMORIA (Paolo Zagari)
"UDITE! UDITE! O RUSTICI"
E’ inutile negarlo. Il profano di media cultura, sufficientemente spocchioso da ritenere la televisione il cibo delle stalle, i social network l’oppio del popolo, i telefonini nevrosi di massa, l’happy hour ritualistica d’accatto, sogna di distinguersi dalla tristezza dell’immaginario collettivo diventando un appassionato di opera. Il problema è che spesso non la capisce e rimane sopraffatto dagli allestimenti fastosi, dalla partecipazione quasi religiosa dei melomani, dai tempi morti, dalle trame tortuose, dal recitar cantando. Si intuisce il bello ma non si arriva a coglierlo. Servirebbe un esperto, qualcuno che ci guidi senza farcelo pesare, per potere finalmente lasciarsi sprofondare nell’oblio lirico. E’ quello che Tito Schipa Jr. propone col suo allestimento essenziale e multimediale dell’opera di Donizetti L’ Elisir d’amore (libretto di Felice Romani) in scena al Teatro Dei Satiri in Roma. Una breve ma efficace introduzione, un computer collegato a un grande schermo dove scorrono i bozzetti (disegnati da Luigi Stefano Cannelli) e la descrizione delle scene (l’ambientazione nel barocco del Salento fine settecento) insieme alle parole del libretto. I quattro cantanti, vestiti da sera, interpretano l’opera alzandosi dalla sedia quando è il loro turno, accompagnati al pianoforte. L’insieme, che così descritto potrebbe sembrare freddo e didascalico, è al contrario pieno di vita, armonioso, suggestivo e divertente. Un vero incanto.
Nel finale poi al posto dei bis, la sorpresa o, come volgarmente si dice oggi, la chicca. Una registrazione del Nemorino di Tito Schipa (a detta di tutti i critici, uno dei migliori Nemorini di sempre) interagisce in una scena dell’opera con i cantanti presenti sul palco. Un esperimento riuscito, a suo modo unico, godibilissimo, intelligente. Per questo, forse, il teatro era mezzo vuoto.
Ci vorrebbe Dulcamara.
SULLE SUE REGIE IN GENERALE:
L’OPERA (Alessandro Mormile)
Assai
elegante il nuovo allestimento (dell’Amico Fritz di Mascagni) firmato da Tito
Schipa Junior, che è magistralmente riuscito a rendere quel clima espressivo
da lui stesso descritto nelle note di regia.
IL CORRIERE DI NOVARA (Francesco Gallia)
“Amico Fritz”: vince ancora la regia.
LA REPUBBLICA (Landa Ketoff)
L’idea della Traviata in full immersion è di un geniale regista, Tito Schipa Jr., che di idee musicali e registiche ha dimostrato di averne molte.
IL TEMPO (Lorenzo Tozzi)
Suggestiva
edizione cameristica della Traviata con un giovane cast.
Gli spettatori si confondono
con coristi e comparse, con ballerini e cantanti ora in un brindisi a lume
di candela, ora in un valzer entr’acte, in una sorta di voyeurismo ravvicinato
e raffinatissimo.
LA BARCACCIA (RAI, Radio 3, Enrico Stinchelli)
Il modo migliore di assistere all’opera, magari fosse sempre così. Un esperimento che ritengo estremamente riuscito, una vera full immersion, come ha detto Schipa, che garantisce emozioni e sensazioni molto più autentiche di quelle purtroppo scarse offerte dal teatro della Capitale in questi ultimi tempi.
IL TEMPO (Katia Ippaso)
Il nostro Artaud della musica...
TARANTOGGI (Gaetano Laudadio)
EMOZIONE PURA CON
TITO SCHIPA JR.
Serata di qualità l'altra sera al Teatro Orfeo per il progetto "Note
Critiche" organizzato dalla Magna Grecia ecurato quest'anno da Tito Schipa
Jr,
(...)
Assolutamente perfetta la
conclusione del percorso che ha visto coinvolti i cantanti, l'orchestra, il
coro di Antonio Stragapede, il pubblico, anch'esso protagonista dell'ultima
parte, il tutto con la continua, presente, magistrale regia del bravissimo
Tito Schipa jr.
LA GAZZETTA DELMEZZOGIORNO (Alessandro Salvatore)
Ha raccolto consensi
l' "Opera Full Immersion" dell'Orchestra Magna Grecia.
Mettete una sera a teatro, nella quale un musicologo, bizzarro ed illuminante
quanto un grillo parlante, vi piazza sul piatto l'anima del melodramma...
(...)
Lo studio ne svela verità (musicali) nascoste. Dopo due ore di esaltante
apprendimento, Tito Schipa Junior invita il pubblico ad intonare il "Te
Deum" della Tosca. È il finale giusto ad uno spettacolo originale
e costruttivo.
SULLE SUE CANZONI:
MUCCHIO SELVAGGIO (Giovanni Ripoli)
Tito Schipa Jr., uno dei personaggi più importanti (non ho detto più popolari) della musica italiana (non ho detto rock o canzonetta).
MUSIKBOX (Giorgio Meloni)
Geniale e mai
abbastanza ben valutato personaggio della nostra scena musicale.
Questo preparatissimo ed autentico figlio d’arte non ha mai mancato di offrirci
prove di altissimo livello, prodotti discografici destinati a rimanere storicamente
ed artisticamente fondamentali.
Come poter rendere con una
definizione unica l’opera di questo vulcanico personaggio ?
Forse potrebbe funzionare una definizione morettiana : ”atleta di se
stesso”. Ma forse è meglio definirlo “Gigante della Musica” e senza alcun
doppio senso ironico.
MUSICA E DISCHI (Sergio Sacchi)
La scoperta di
Tito Schipa Jr. è la rivelazione improvvisa, e per questo anche impetuosa
e violenta, di un modo “diverso” di fare canzoni. Il lessico musicale e linguistico
di questo giovane dal nome tanto illustre sovverte la balbuzie melodica di
tanti cantautori e la baldanzosa e patetica pretesa avanguardistica cui molti
complessi “pop” ci avevavo pigramente abituato.
L’opera di Schipa Jr. non
è la ripresa di mode d’importazione; non è nata dall’allacciamento al mondo
espressivo straniero, ma scaturisce dai preziosi retaggi culturali di una
persona che per anni ha vissuto nel mondo del teatro e che questo ha sempre
coltivato come massima aspirazione. La marcia verdiana o la romanza rossiniana
si avvertono sempre; anche se poi a filtrare sapientemente queste profonde
radici culturali è giunta la scoperta della musica di Dylan, dei Beatles,
di Paul Simon.
Schipa è un personaggio che
il grande pubblico deve ancora scoprire. Oltre che all’arte sarebbe un riconoscimento
alla sincerità
IL TEMPO (Giancarlo
Riccio)
Una elegante commistione di temi, tematiche, toni, ambientazioni. E’ la varietà di stili, di arrangiamenti, di strutture sonore ad affascinare, stupire, e a strappare convinti applausi al termine di ogni esecuzione.
IL LAVORO (Walter Gobbi)
Cantautore tra
i più significativi espressi dall’ultima pop-music, figlio di uno dei più
grandi tenori “di grazia” del nostro secolo la cui grande lezione non manca
di farsi sentire, introducendo nella “contemporaneità” della musica di Schipa
Jr. elementi di nobiltà ben precisi. Anzitutto c’è la voce, che è dolce e
tuttavia percorsa da un che di asprigno, duttile e “bionda”, poi c’è un gusto
della melodia scarna e lineare ma ampia e varia e un senso orchestrale non
frequenti nel panorama della musica pop.
NUOVO SOUND (Franco Schipani)
Tito Schipa Jr:
un artista da vedere, per il notevole contributo artistico ed umano che questo
poliedrico artista dà alla nostra cultura musicale, unitamente ad un impegno
politico ben preciso.
Grazie a Tito Schipa
Jr. e agli "Arcipelaghi Diversi" la strage di Ustica viene rievocata
in questa canzone il cui testo in modo ironico e sottile pur non riferendosi
mai alla vicenda, rievoca tradimenti e insabbiamenti di cui la tragica storia
della Strage di Ustica è permeata.
Ben venga la satira, dunque, anche per mezzo di una canzone dal ritmo rock
molto sostenuto e dalla melodia accattivante. Che serva, anche questa, a non
far dimenticare...
LA VOCE REPUBBLICANA (Alessandro Cecchi Paone)
Fin dalla prima
canzone è stata una fuga ininterrotta di immagini, un flusso continuo di flash
visivi a riprova che un solo musicista con un pianoforte ed una base preregistrata
può avere la forza del più accurato e dispendioso videoclip.
L’ARENA DI VERONA (Enrico De Angelis)
Un delirio perfetto,
per usare una sua stessa battuta. Una schizofrenia che oltretutto, sul piano
spettacolare, sprigiona comunque, a cominciare dagli occhi, un’incredibile
seducente energia.
Alcune
di queste canzoni sono a parer nostro dei capolavori.
AVANTI! (Marco Testi)
SUL SUO ALBUM DI TRADUZIONI DI BOB DYLAN ("DYLANIATO", 1988):
CIAO 2001 (Giuseppe de Grassi)
Un incredibile lavoro filologico. Molto pudore e molto buon gusto.
RAI-RADIO UNO (Barbara Marchand)
Un capolavoro.
IL CORRIERE DELL’UMBRIA (Anonimo)
Delizioso, assolutamente delizioso.
L’ARENA DI VERONA (Giampaolo Rizzetto)
Tito Schipa Jr. sente Dylan come pochi e lo colloca nel posto che gli spetta di diritto. Un gusto delle assonanze, della fedeltà e della rima che abbiamo visto in pochi. Grazie all’umiltà e alla cultura di un musicista romano ti riappropri del “tuo” Dylan.
LA REPUBBLICA (Laura Putti)
Alcune delle canzoni sono quasi più efficaci in italiano che in inglese.
L’ARENA DI VERONA (Enrico De Angelis)
Uno dei migliori album del 1988.
IL VERONESE (Pier Giuseppe Montresor)
La forza di Tito Schipa Jr. sta nell’aver colto lo spirito, il tipo di linguaggio surreale, spesso ironico, sempre unico, del Dylan migliore.
IL TEMPO (Giancarlo Riccio)
Quanto poi ai testi,
ci troviamo di fronte alle traduzioni in italiano più corrette e cantabili
finora mai elaborate.
PAESE SERA (Ernesto Bassignano)
Un’operazione bella e difficile. Le metafore ritornano puntuali, risolte con una creatività filologica tanto lirica quanto musicale. Belli quanto scarni e limpidi gli arrangiamenti.
IL RESTO DEL CARLINO (Giorgio Monteduro)
Un album che ha estasiato l’americanista Fernanda Pivano. Gli arrangiamenti e l’orchestrazione sono quelli giusti, anche più brillanti e corposi degli originali.
AVANTI! (Giuseppe De Grassi)
Estrema
cura filologica. Quasi un libro di traduzioni in forma circolare e plastica
nera.
MUCCHIO SELVAGGIO (Giovanni Ripoli)
Un album ricco di fascino, di poesia, di attualtà. Questo non è un disco da passare sotto silenzio.
IL GAZZETTINO (Liliana Boranga)
Una svolta nel rapporto con la canzone straniera.
LA VOCE ISONTINA (Giuliano Almerigogna)
Di Schipa e Thompson i migliori LP 1988.
MUSIKBOX (Giorgio Meloni)
Una selezione quanto più completa e variegata possibile dell’Universo dylaniano, un Universo fatto di poesia, dai toni spesso forti ed evocativi, quasi una visione parallela della realtà. Inutile dire che Tito svolge magnificamente il compito di rendere al meglio questo affascinante mondo, con una capacità di sintesi sincretica e mai sterile e di adattamento plastico della nostra lingua, foneticamente così diversa da quella americana, che non manca di stupirci ascolto dopo ascolto.
SULLA
SUA POP-OPERA “ ORFEO 9 “
(DISCO E FILM) :
MUCCHIO
SELVAGGIO
Uno dei cento album
fondamentali del Rock italiano del 900
Una regìa magistrale, un
magnifico montaggio, una splendida fotografia e direzione orchestrale.
LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO
“Orfeo 9” ha passato il diaframma: i giovani ne sono entusiasti.
C’è più buona musica in questo spettacolo che in diversi festival di Sanremo messi assieme!
ARENAMUSICA24.NET
Si
tratta della più bella (se non l’unica) opera rock mai realizzata in Italia.
Nato come spettacolo teatrale nel 1970, Orfeo 9 è diventato un disco nel
’72, regolarmente ristampato nei decenni successivi fino ad oggi. Questa
trasposizione del mito di Orfeo in chiave pop e vagamente hippy offre alcune
pagine di struggente bellezza che il tempo non è riuscito minimamente ad
offuscare. Forse alcuni suoni, alcuni climi risultano (inevitabilmente)
datati, ma il valore di un’opera che andrebbe sicuramente rivalutata e riconosciuta
come un piccolo capolavoro, perdura intatto.Tra gli interpreti due giovanissimi
e all’epoca sconosciuti Renato Zero e Loredana Bertè.
EFFETTONOTTE ON LINE
Orfeo 9, girato
nei primi anni Settanta con bassissimo budget, porta in sé la genuinità
di un lavoro che precorre i tempi. Tito Schipa jr. (all'epoca poco più di
ventenne) si mette in gioco con uno sguardo, una passione, un'inventiva
del tutto particolare: il suo film da questo punto di vista non ha nulla
da invidiare a opere americane ben più note (vedi Jesus Christ Superstar)
o alle esperienze kitsch inglesi (Tommy). Anzi, un certo utilizzo diretto
della macchina da presa su scenografie finto-teatrali risulta esser estremamente
affascinante e originale.
(…)
Se oggi la televisione
propina fenomeni come Saranno famosi e Operazione trionfo, un tempo qualcuno
riusciva a concepire progetti come Orfeo 9, opera interamente originale
di una giovane avanguardia, musicalmente ricca e interessantissima, visivamente
non impeccabile ma in ogni caso coraggiosa.
(…)
"Il mio strumento
musicale preferito era sempre stato, e resta ancor oggi, la macchina da
presa" sostiene Tito Schipa Jr. artista ibrido e libero del panorama
musicale italiano (sue le traduzioni in italiano di Dylan). E con il cinema
l'autore sembra effettivamente divertirsi, attraverso scelte registiche
efficaci: montaggio serrato con una costruzione narrativa che non disdegna
i salti temporali (flashback, flashforward), scenografie simbolico-oniriche,
primi piani intensi sugli attori che cantano in playback "credibili"
(lo stesso Tito Schipa jr. è presente nel ruolo di protagonista).
(…)
Orfeo 9 non è un semplice
documento di una generazione (quella beat italiana del post 68) perché in
modo complesso propone un'estetica e una ricerca espressiva ben precisa.
L'impianto teatrale dell'incipit (scenografie e luci palesemente costruite
e evidenziate) si scontra in modo tutt'altro che banale con la parte centrale
girata "on the road" nella periferia romana, che culmina con la
splendida immagine della strada dipinta (creata ad hoc dall'Anas: "il
bizzarro patchwork di strisce bianche che chiude la canzone non è un nostra
invenzione: trovammo la strada così e francamente ci sembrò un suggerimento
soprannaturale").
Senza soluzione di continuità
si passa da un espressionismo divertito ad un realismo quasi documentaristico
in cui i personaggi fiabeschi vengono inseriti nel contesto delle grandi
opere autostradali dell'industrializzazione. Un gap che fa scattare qualcosa
di affascinante e poetico considerando la vena rock del film con musiche
che mescolano l'elettronico sperimentale a ballate classiche, in un mélange
alquanto strano fra musica leggera italiana e avanguardia.
Il film pone
in modo naturale delle fondamentali questioni sul rapporto musica e immagine.
Orfeo 9 non è il musical classico, con il corpo di ballo che fa da sfondo
ai protagonisti, né può essere facilmente avvicinato alle esperienze dei
rock-movies realizzati nel cuore degli anni Settanta, girati con piena consapevolezza
(attoriale e autoriale). E' un laboratorio visivo fatto con passione e genuinità,
una sorta di accademia creativa, musicale e cinematografica, che si mette
in gioco davanti al suo pubblico
(..)
Un film e un'esperienza da recuperare.
SULLA SUA OPERA-MUSICAL “ ER DOMPASQUALE “ :
DAILY
AMERICAN (Heidi Jarratt)
SIPARIO (Lucio Lironi)
All’uscita avevamo le idee molto più chiare e inoltre la piacevolissima sensazione di esserci divertiti e di aver riso di gusto come, ahinoi, capita sempre più di rado.
IL TEMPO (Renzo Bonvicini)
Non si perde, anzi s’impara per
chi non lo conoscesse, il piacere delle romanze, dei recitativi, delle arie,
e si fa propaganda alla vera, buona musica del passato, senza per altro
rinunziare a godere gli stornelli, a danzare valzer e tip-tap, a scatenarsi
col rock.
Quasi tutto, sempre, all’insegna
dell’invenzione, della sorpresa, del gusto e della sana risata e specie
nella chiara significazione di un regista e musicista che ha, da parte paterna,
l’Opera nel sangue e la vive non da puro dilettante, e “canzonatore”, ma
da conoscitore profondo.
CHANNEL 5 USA (Neil Gabler)
Non mi ero più divertito tanto,
non avevo più visto tanta vera energia dai tempi di “Pirates of Penzeance”.
Hanno dato lo stesso sacrilego trattamento rock ad un’opera di Donizetti
e ne sono usciti con una vittoria.
E’ una festa, uno spasso,
una gran delizia! Cominciate a mettervi in coda !
DAILY NEWS (Bill Zakariasen)
Una scintillante, abbagliante
pop-opera.
SULLA
SUA OPERA-POP “THEN AN ALLEY” :
PAESE SERA (Piero
Dallamano)
Uno
spettacolino proprio coi fiocchi, condotto con una preparazione, uno scatto,
una coerenza che vorremmo vedere in spettacoli di ben maggiori pretese e di
mezzi assai più larghi. Il gioco della regìa è sapiente, direi persino troppo
abile. Il merito va a Tito Schipa Jr, che ha organizzato e diretto ogni cosa.
MOMENTO SERA (Piero Vivarelli)
Perfetta la messa in scena
e la tecnica registica.
DAILY AMERICAN (John Francis Lane)
Uno spettacolo
di poesia. Una semplice, non pretenziosa, incantevolmente semplice storia
di teenagers recitata cantata e danzata
con gusto rigeneratore e charme, una boccata d’aria fresca.
CORRIERE DELLO SPORT (Elisabetta Ponti)
Si tratta di un autentica
opera d’arte, creata dalla fusione di un mondo vero, realistico, e di ideali
incerti, ma profondi e sofferti.
SULLE
SUE COLONNE SONORE:
POLICEMAN
di Sergio Rossi
Paese Sera
La colonna musicale, che sul leit motiv di una canzone protestataria
(“Combat”, ndr), riprende i motivi ideali del film, è opera del già
noto e bravo Tito Schipa Jr.”
FILM
di Mario Orfini
www.cinemastudio.com
La musica non commenta,
ma sostiene le immagini, e a volte assurge alla funzione di personaggio vero
e proprio: aiuta la Morante a sostenere la difficilissima scena iniziale,
e sembra quasi del tutto assente lungo lo scorrere della pellicola, ma la
lettura del bollettino del mare alla radio, torna, nella scena finale, quasi
ad accompagnare, con il suo ritmo cadenzato e rassicurante, il ritorno alla
quotidiana normalità di Anita e Michele, forse più consapevoli ma rassegnati.
Ciak (1/6/1999), Massimo Lastrucci
Orfini gioca alla prova d'autore e, coadiuvato da una fotografia che punta all'espressività, dal colore e da una notevole colonna sonora (di Tito Schipa jr.) si può dire che riesca, con qualche istrionismo di troppo, nella scommessa di rendere spettacolare anche la nevrosi del quotidiano e del non detto. Dal canto loro, Laura Morante e Luca Zingaretti si sfiancano in una recitazione dura e isterica, senza risparmiare le energie.
SULLA
SUA BIOGRAFIA PATERNA (“TITO SCHIPA, DI TITO SCHIPA JR”)
BRIDGE (Flavia Pankiewicz)
Tito Schipa Jr. non ha scritto solo una commovente biografia da ammiratore fervido e incantato del padre, ma un saggio sul destino, una seduta di psicoanalisi in cui ci si confessa senza riserve né difese. Tra le righe c’è sempre, accanto alla sconfinata ammirazione per l’uomo che molti hanno definito il più grande tenore di tutti i tempi, un senso di indulgenza, una compassione così piena di saggezza e di affetto da parere più la biografia che un padre potrebbe aver scritto su suo figlio piuttosto che il contrario.
GIORGIO GUALERZI (conferenze)
Un
bel libro. Questa biografia ci restituisce, mediata dalla partecipazione,
affettuosamente severa o severamente affettuosa fate voi, un ritratto il più
obbiettivo possibile, non già di un tenore che è anche un uomo, ma esattamente
l’opposto. Ciò finisce per giustificare la natura “romanzesca” del libro,
cui non guasterebbero certo una cinquantina di pagine in più, talmente si
legge tutto d’un fiato.
E’ un giudizio che ovviamente
non ne sottovaluta l’alto valore documentario.
L’INDIPENDENTE (Andrea Perego)
Al di là dell’importanza storico-documentaria, la bellezza del testo di Schipa jr. sta nella capacità di fondere la dettagliata e documentata ricostruzione dei fatti con un andamento che non scade mai nell’agiografia filiale, mantenendosi piuttosto sul tono sempre vivace, spesso critico, talvolta scanzonato.
OPERA
NEWS (John W. Freeman)
L’autore riesce a
zoomare da intimi primi piani a visuali lunghe, addirittura storiche. Uomo
di piena cultura, guarda al suo famoso padre tanto in prospettiva che in profondità,
contro gli sfondi appropriati, ognuno dei quali caratterizza con arte di intrattenitore.
Se il suo affetto personale per il soggetto non oscura mai il suo giudizio,
anche il contrario è vero. Senza usare nessun ammorbidente Tito jr. tratta
le più egregie gaffe del padre con lo spirito, l’introspezione e la pazienza
che fanno di questo libro una vera delizia alla lettura.